Ritratti in piedi.Dialoghi fra storia e letteratura

ritratti-in-piedi-libro-72871Ritratti in piedi di Massimo Ortalli raccoglie una quarantina di schede centrate su opere letterarie che presentano figure libertarie. Questi testi sono stati pubblicati su (A) Rivista anarchica nel corso di nove anni, a partire dal 2001, e oggi sistematizzati in questo libro che testimonia, tra l’altro, la passione bibliofila dell’autore.
Il volume, che scaturisce da molteplici e attente letture, ordina e propone una serie di romanzi di vario genere ed epoca, pubblicati tra la fine dell’Ottocento e nel corso del Novecento.
L’opera è in linea con l’attività decennale di Ortalli nel campo della bibliofilia, ma non solo: saggista, editorialista, molto attivo nell’Archivio storico della FAI, impegnato nello studio dei movimenti libertari, unisce la passione storica e culturale ad un attivismo costanti nel tempo. La sua puntuale attività di raccolta e archiviazione di materiali, libri e documenti hanno contribuito, e contribuiscono, sia alla trasmissione della memoria del movimento, sia all’attività di oggi.
Il suo lavoro certosino è il frutto di un continuo dialogo tra presente e passato: la storia del movimento anarchico non risulta cristallizzata in una mera esposizione agiografica, ma vive nel presente, nelle sue pagine.
Il punto centrale delle riflessioni qui raccolte riguarda un problema sempre di attualità per l’anarchismo: come si può evitare di cadere nelle trappole schematiche con cui il Potere, ogni Potere, ha dipinto chi si è battuto, sempre e comunque, per la libertà e la dignità umana.
Dall’accusa di feroce terrorismo alla definizione di utopia irrealizzabile, dal marchio di sognatore confuso all’etichetta di cospiratore tenebroso, la fantasia degli oppressori e dei loro propagandisti si è impegnata a fondo. Purtroppo la calunnia ha conseguito spesso il risultato di creare pregiudizi e stereotipi quasi invulnerabili. Ieri come oggi.
Attraverso la lente inconsueta della letteratura, il lavoro si propone di tracciare un quadro dell’anarchismo (e di alcuni dei suoi protagonisti) davvero peculiare, dove luoghi, biografie e vicende si mescolano fra loro componendo racconti e profili biografici.
Leggendo questo lavoro si riesce a cogliere quel legame tra organizzazione e individui che altri linguaggi stentano a delineare.
Si scopre anzitutto che sono numerose le opere di prosa che affrontano il tema e che, grazie alla multiformità di forme e contenuti, sono in grado di restituirci un mosaico di volti che compone, man mano, un contesto eterogeneo e vivace.
Le opere analizzate ci parlano soprattutto di una serie di modalità di adesione e contributo al movimento libertario e alla sua teorizzazione, dove il plurale rivela essere più inclusivo e rappresentativo di una realtà capace di inglobare al suo interno esperienze esistenziali e di militanza molto diverse fra loro.
La lente della letteratura mette a fuoco quell’umanesimo anarchico fatto di “storie minori” dove il principio della libertà collettiva e individuale viene anteposto ad ogni altro e si fa marchio e direzione di intere esistenze.
La pluralità è insita nelle idee antiautoritarie e nell’identità libertaria e la critica all’autoritarismo non si limita alla speculazione teorica ma affonda l’impegno negli ambienti popolari del proletariato in lotta, ne condivide battaglie, speranze ed emancipazione.
Emerge una carrellata di volti, di luoghi e di identità, nonché di delusioni e sconfitte, che proietta come un prisma desideri, lotte, utopie e strategie di liberazione; ogni storia è diversa dall’altra, ogni personaggio ha una propria voce e una peculiare modalità di stare al mondo e di entrare in relazione con esso. E ogni profilo, nella sua personale ricerca di emancipazione e di liberazione, ha la propria dignità e coerenza che, assieme alle altre, costruiscono nel tempo l’ossatura dell’anarchismo.
Il libro si può leggere d’un fiato, ma risulta essere anche un ottimo strumento di ricerca e di approfondimento: ben organizzato per sezioni tematiche, è d facile consultazione e ogni scheda riporta un approfondimento tematico e alcuni stralci dal testo in questione.
Come in una carrellata di diapositive a colori, scorrono fianco a fianco profili diversissimi tra loro, ma anche generi letterari di vario tipo: così, accanto al romanzo novecentesco, l’autore esplora le potenzialità del romanzo d’appendice, proponendo, ad esempio, l’analisi de Il figlio dell’anarchico di Carolina Invernizio, uscito nei primi anni del Novecento.
All’epoca il feuilleton era considerato un vero e proprio strumento pedagogico, in grado di orientare l’immaginario collettivo e affrontava le tematiche sociali attraverso la narrazione di fantasia o, per usare un termine d’attualità, la fiction.
Questo tomo fa luce su tutta una serie di stereotipi e pregiudizi che accompagnavano l’opinione diffusa e semplicistica sul movimento anarchico. Pur rimanendo all’interno della logica melensa del compromesso sociale fra datori di lavoro e operai, l’autrice pone sul piatto una serie di temi in rottura: ecco che solleva la questione della giustizia sociale o che si scaglia contro le pratiche filantropiche della nobiltà ipocrita verso i poveri. Seppure non vi sia un riferimento chiaro ad un personaggio realmente esistito, la Invernizio traccia, a partire dal profilo di un anarchico “tipo”, un ritratto collettivo.
Facendo un salto di circa ottant’anni, e abbandonato il romanzo borghese di fine Ottocento, Ortalli ci proietta nella Pisa di Athos Bigongiali, autore nel 1989 di Una città proletaria. Qui il dialogo tra singolo e collettività è ancora più spinto: mentre l’autore del romanzo ci conduce lungo le vite di Jessa Fontana, operaia, e di Augusto Castrucci, ferroviere sindacalista, è la comunità cittadina ad affiorare tra le pieghe del romanzo. Una città tenace, impegnata nelle lotte operaie dentro le numerose fabbriche, indomita, schierata contro l’influenza clericale, che allena l’esercizio attivo della libertà di pensiero. Un popolo, quello pisano, che rivendica la sua estraneità all’ordine costituito e il suo spirito anticonformista già nel rifiuto di chiamare i propri figli con i nomi convenzionali di santi e martiri: è la costellazione dei vari Pompeo, Acratica, Nilo, Sguardo, Germinal, Catullo, che portano all’anagrafe il rifiuto di conformarsi al clericalismo, nonché il gusto della ribellione.
Non mancano analisi su militanti illustri come Pietro Gori, figura tuttora presente in ambienti popolari soprattutto in Toscana. Ad ogni modo si fanno spazio anche figure più ambigue, ma che meritano ugualmente un posto nel caleidoscopio di personaggi che concorrono all’immaginario anarchico: è il caso del protagonista del romanzo del boemo Jaroslav Hasek, Il buon soldato Sc’veik, opera dai tratti fortemente autobiografici.
In queste pagine spicca la denuncia antimilitarista e antiautoritaria. Il buon Sc’veik è refrattario a qualunque tipo di autorità e utilizza l’arma dell’ironia per dissacrare i diversi aspetti della vita militare e la collusione, con esso, dell’autorità religiosa: “Non c’è massacro d’uomini i cui preparativi non abbiano avuto luogo nel nome di dio o ad ogni modo d’un supposto ente supremo che l’umanità ha partorito dalla sua fantasia” pronuncia il suo protagonista. Il libro, la cui pubblicazione sarà vietata per parecchi anni dal regime cecoslovacco, sedicente comunista, è a modo suo un inno alla libertà e dichiara con forza il proprio rifiuto alla sopraffazione di ogni tipo.
Per citare le parole di don Andrea Gallo, il “prete ribelle” di Genova, citato a sua volta nell’introduzione da Paolo Finzi: “Non mi interessa se tu sei credente, mi interessa che tu sia credibile”.
In sostanza Ortalli ci consegna un’opera dai molteplici meriti. Più d’ogni altra cosa, mi pare sia in grado di raccontare come, all’interno delle numerose sfaccettature, le idee si siano fatte attività, abbiano prodotto pratiche di militanza, ma non solo. Gli ideali, in modo non facile, si sono fusi nella vita quotidiana e trasformati in comportamento concreto orientando le pratiche personali, all’insegna della coerenza e dell’attivismo.
 
Silvia Antonelli

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